Gestire i collaboratori: oneri e onori.
Oneri e onori, si dice abbiano i capi. E mai cosa risulta più vera quando si parla del tortuoso e meraviglioso mondo della gestione di collaboratori.
Perché è un percorso difficile, quello che ci rende buoni manager, che ci fa quotidianamente scontrare con la peculiarità dell’essere umano, le sue infinite variabili, l’imprevedibilità dei pensieri e dei comportamenti, i diversi punti di vista, le prospettive che non capiamo, quelle che ci sembrano assurde.
E talvolta ci sembra più un onere che un onore, doverci districare in tanta complessità.
Ma le parole che accompagnano il nostro agire da capi, possono aiutarci a riscoprire l’onore – e che onore davvero! – che si nasconde dietro all’essere la guida professionale dei nostri collaboratori.
Valutare = valorizzare
Valutare, dal latino, significa valere: essere forte, essere capace. Che utilità allora la valutazione!
Non per capire CHI siano i talenti ma per scovare QUALI talenti abbiano i nostri collaboratori. Non per andare furiosamente alla ricerca di “obiettivi di miglioramento” ma per riscoprire le attitudini innate, le attività che alle persone che lavorano con noi vengono semplici, facili e, perché no, divertenti.
Per ridistribuire le attività, i processi, gli uffici, in modo da valorizzare le potenzialità di ognuno. Perché “valorizzare” deriva sempre da “valere” e significa “porre in rilievo il valore di qualcosa, dargli il giusto risalto”.
Dare (e ricevere) feedback
Un salto di lingua, e approdiamo al feedback, che entra nel vocabolario dell’HR solo verso la metà degli anni ’50. Utilizzata inizialmente in ambiti tecnici, questa parola indica “quel processo per il quale un risultato di un’azione si riflette sul sistema stesso modificandone il comportamento”.
Interessante il concetto di feed (nutrire), che sottolinea quanto avere informazioni sulle conseguenze di un’azione compiuta alimenti, dia nutrimento, quindi faccia crescere. In sostanza, solo se so cosa provoca un’azione posso adattarla, modificarla, far diversamente.
Un onore, allora, offrire una nuova prospettiva, consegnare al collaboratore un’informazione che non aveva e che gli consente di modificare il proprio sistema.
L’importanza di delegare
E, infine, col delegare (“consegnare, attribuire o rimettere fidando nell’altrui capacità, cura o discrezione”, “autorizzare ad agire al proprio posto”) prendiamo contatto con un altro dei grandi temi manageriali: la fiducia.
Fiducia per lasciare che qualcuno agisca al nostro posto: non quindi attribuire compiti, ma avere fiducia, e dare all’altro la fiducia che si ha. Fa paura, la fiducia, sempre. Ma si può dare davvero quando si è valutato e valorizzato, nutrito e alimentato.
Perché la paura si lotta con la conoscenza, anche in questo caso: conoscere chi lavora con noi, riconoscerne le peculiarità, guidarne la crescita.
E allora anche delegare diventa un onore, perché si concede all’altro di prendersi il rischio di ciò che fa, di decidere autonomamente, di fare a modo proprio.
Si concede all’altro di poter sbagliare e poter imparare. Di poter esprimere sé stesso e la propria potenza. E non c’è onore più grande per gestire (bene) i propri collaboratori.